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Il Job Crafting: cos’è e come usarlo

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Michele Bartolozzi

Business coach, trainer, assessor e consulente HR

Spesso le persone si adattano all’organizzazione in cui lavorano. E se fosse il contrario? 

Cos’è il Job Crafting e come funziona? Scopriamo come possono le persone modellare il loro lavoro, come è possibile aiutarle a rafforzare la propria autonomia, la responsabilizzazione e le performance.

Le persone si adattano al contesto in cui lavorano?

E’ percezione diffusa che quando si opera nell’ambito di una organizzazione, sia aziendale che di altra natura, ciò che guida il nostro agire siano le regole dettate dall’organizzazione stessa e che, in sintesi, il nostro modo di essere, di agire, di pensare e di relazionarci si debbano adattare al contesto. In azienda esemplificativo di questa tendenza sono tutti i lavori e le azioni messe in campo per intervenire sulle cosiddette «aree di miglioramento» (detto in modo politicamente scorretto, le carenze o punti di debolezza individuati) delle persone. In un certo senso, le aziende «martellano» le persone perché si adattino, si conformino e prendano la forma più idonea alle esigenze dettate dall’organizzazione. Ma quanto questa modalità è funzionale all’organizzazione stessa, cioè quanto è vantaggiosa e quanto invece risulta dispendiosa ed inefficace?

Il job crafting, nel trasformare il paradigma «ti adatti all’organizzazione» in «ti ritagli lo spazio migliore per esprimere al massimo le tue potenzialità» mostra un approccio diverso al tema.

 

Cosa è il job crafting? Alcune definizioni

Nella realtà, le cose come sempre accade non sono così schematiche. E’ esperienza comune che le persone, chi più e chi meno, chi consapevolmente e chi no, tendono a ritagliarsi delle zone di comfort o comunque più adatte alle loro caratteristiche, sensibilità, valori. Ed in effetti le definizioni scientifiche di «job crafting» indicano proprio questo atteggiamento. Tims & Bakker, 2010 definiscono il job crafting come «l’insieme delle strategie e dei comportamenti che le  persone proattivamente impiegano per modellare il proprio  lavoro e le relazioni in accordo con le capacità e le  preferenze personali» mentre secondo Wrzesniewski e Dutton «e’ costituito dai comportamenti  proattivi volti a modificare e ridefinire i confini  lavorativi (Wrzesniewski & Dutton, 2001) attraverso i  cambiamenti che la persona apporta nei compiti e  nelle relazioni previste dal proprio ruolo» (Berg &  Dutton, 2008).

Ciò che appare rilevante, tuttavia, è che attraverso questa azione con cui la persona si riappropria, in un certo senso, dei propri spazi di libertà professionale, avviene una trasformazione e modifica del significato del proprio lavoro; in altri termini, il lavoratore incide sulla propria identità professionale.

Di particolare interesse, sotto il profilo dei processi psicologici, è la connessione tra la percezione della propria autoefficacia (cioè la fiducia di avere la capacità di raggiungere gli obiettivi, Albert Bandura, 1986) ed il job crafting Tanto più le persone sono convinte delle proprie capacità (autoefficacia) quanto più ricercheranno occasioni di crescita, confronto, miglioramento all’interno dell’azienda coerenti con i propri interessi, competenze, motivazioni, producendo il miglioramento della performance.

Questo elemento contribuisce a chiarie che il job crafting è in primo luogo un comportamento e quindi si distingue dalla proattività, che attiene ai tratti di personalità, e dall’engagement, che è uno stato mentale. Infine, non va confuso con il job design, ovvero la descrizione formale degli ambiti di competenza dei ruoli aziendali.

Quando si parla di comportamento occorre, tuttavia, specificare che questo si può tradurre in modifica delle proprie percezioni o atteggiamenti verso il lavoro (ambito cognitivo), del modo di relazionarsi con il contesto (ambito relazionale) e non solo, come viene naturale pensare, di ridefinizione dei compiti che le persone perseguono (ambito organizzativo), ancorché questo appaia come la sfera di più naturale attuazione del job crafting.

Se quindi il job crafting consiste in comportamenti cognitivi, relazionali, organizzativi attraverso i quali le persone rimodellano il proprio lavoro, quali sono le strategie che posso perseguire questo fine? Secondo Tims e Bakker le strategie possono essere di incremento delle risorse strutturali disponibili (ad esempio sviluppare competenze tramite la formazione), di quelle relazionali (cercare supporto e feedback da capi e colleghi) oppure ricercare compiti ruoli ed occasioni più sfidanti. Infine, al contrario, la limitazione dei carichi emotivi e di situazioni o relazioni professionali stressanti.

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Il job crafting alle prese con la realtà dell’azienda

Passiamo ora a qualche riflessione su come il job crafting può essere calato all’interno delle realtà aziendali. La base è che all’interno dell’azienda ci sia una consapevolezza di cosa sia il job crafting e la convinzione che questo possa apportare miglioramenti positivi a livello individuale e complessivo. Ci vuole, in sostanza un committment forte da parte della struttura di governo ed una cultura disponibile ad accettare questo approccio dove per cultura si parla, tra le altre cose, di autonomia delle persone, delega, lean organization, responsabilizzazione. O almeno che si voglia andare in questa direzione. E’ fondamentale, quindi, che le policy HR e l’applicazione delle stesse in termini, ad esempio, di rewarding, comunicazione interna, interventi di formazione/coaching a supporto siano coerenti con la volontà di dare spazio alle persone di muoversi con autonomia e senso di responsabilità allo stesso tempo.

Ove un’azienda intendesse avviare un progetto di inserimento dell’approccio job crafting da parte delle persone, a mio avviso dovrebbe essere definito un percorso strutturato che, passando dall’analisi del fabbisogno (inteso non solo come caratteristiche individuali ma anche organizzative) passi per una precisa identificazione dei destinatari di interventi di formazione e coaching e coinvolga i capi delle persone in presa diretta. Gli stessi capi dovrebbero essere coinvolti in sistemi di misurazione del cambiamento dei comportamenti organizzativi da parte delle persone interessate al progetto.

Un intervento formativo poi, dovrebbe necessariamente toccare alcuni aspetti essenziali per innestare una modalità di lavoro proattiva. Da un lato si dovrebbe puntare da un lato sulla conoscenza della propria identità e stile di lavoro, dall’altro sui temi di fiducia in sé stessi e nella propria capacità «autogenerativa» di crescita. Parimenti importante è fornire strumenti di lettura del contesto organizzativo e di progettazione di un piano d’azione concreto e realizzabile.

In sintesi…

Possiamo dire che ciascuno di noi all’interno delle organizzazioni attua spontaneamente, in maniera inconsapevole, strategie di job crafting e cioè attua comportamenti finalizzati a riadattare aspetti relazionali, percettivi e organizzativi alle proprie capacità, motivazioni ed interessi. Sta alle azienda utilizzare questa tendenza a fini costruttivi, predisponendo un contesto favorevole a sviluppare una responsabilità ed autonomia delle persone coerenti ed utili con le necessità dell’intera organizzazione.

Il commitment aziendale e la chiarezza sugli obiettivi che si vogliono raggiungere, una cultura di apertura e confronto, l’approccio progettuale sistemico, il coinvolgimento delle persone e dei loro capi nell’introdurre un approccio «job crafting» al lavoro sono gli elementi vincenti per la creazione di valore a vantaggio delle persone e dell’organizzazione.

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